Messaggio INPS, 30 ottobre 2008, n. 23991
“Ulteriori istruzioni operative in tema di “Handicap e Disabilità.”.”
Sommario:
1. Operatività del DM 2 agosto 2007 nelle situazioni di handicap.
2. Chiarimenti sulla Disabilità psichica ex art. 13 della legge 68/99.
1. Operatività del DM 2 agosto 2007 nelle situazioni di handicap.
Come è noto il Decreto ministeriale - Ministero dell'economia e delle
finanze 2 agosto 2007 “Individuazione delle patologie rispetto alle quali
sono escluse visite di controllo sulla permanenza dello stato invalidante”
- attuativo della Legge 9 marzo 2006, n. 80 nel
disposto dell'art. 6 (Semplificazione degli adempimenti amministrativi per le
persone con disabilità) comma 3 che integrava e sostituiva il comma 2
dell'articolo 1997 della Legge 23 dicembre 2000, n. 388 - stabilisce che: “Art.
1. In attuazione dell'art. 6, comma 3, della Legge 9 marzo 2006, n. 80, di conversione
in legge, con modificazioni, del decreto legge 10 gennaio 2006, n. 4, è
approvato l'elenco delle patologie rispetto alle quali sono escluse visite di
controllo sulla permanenza dello stato invalidante e indicazione della relativa
documentazione sanitaria, che costituisce parte integrante del presente decreto.”
avendo, in premessa, richiamato la norma generandi ... che individua quali soggetti
possano beneficiarne: “i soggetti portatori di menomazioni o patologie
stabilizzate o ingravescenti, inclusi i soggetti affetti da sindrome da talidomide,
che abbiano dato luogo al riconoscimento dell'indennità di accompagnamento
o di comunicazione, sono esonerati da ogni visita medica finalizzata all'accertamento
della permanenza della minorazione civile o dell'handicap”.
Sicché è bene specificare che solo per i soggetti che risultino
fruitori di assegno di accompagnamento/comunicazione - se riconosciuti esenti
ai sensi del DM 2 agosto 2007 - non sono da effettuare
visite di controllo sulla permanenza dello stato invalidante.
Riguardo l’handicap, pure richiamato nella legge 80/2006 questo non sembra
essere novellato nel DM applicativo se non in via satellite ed incidentale più
come richiamo generale alla legge de quo che come vero disposto vivente.
Infatti, appare doveroso richiamare il concetto di handicap che più
volte è stato da questo Settore ricordato e puntualizzato: l'handicap
ex lege 104/92 pur fondando la sua sussistenza sulla presenza di una minorazione,
lega le prestazioni/agevolazioni alla sussistenza di un addendo socio-relazionale
e di contesto che non può essere ignorato e sul permanere del quale può
significatamente fondarsi l'esigenza di revisione da parte di una Commissione
che non è solo medica, ma che equigerarchicamente prevede l'operatore
sociale nella costruzione del giudizio.
Inoltre, a tutt'oggi, la legge comunque non prevede per l'handicap l'attivazione
di verifiche straordinarie, limitando la funzione di puntualizzazione/aggiornamento
del giudizio espresso alla previsione di una revisione cadenzata nel tempo.
Tanto, in ossequio alla grande dinamicità dei presidi - terapeutici e
non - adottabili che servono a rimuovere gli ostacoli e/o introdurre facilitatori
(finalità della legge) descrivendosi così una situazione ad alta
dinamicità malgrado il persistere della minorazione che può ben
essere più statica.
Altro punto da non sottovalutare è che esistono almeno due livelli di
handicap: il congelare come irrivedibile un handicap precedentemente dato ad
es. a scadenza, potrebbe configurare un “congelamento” del provvedimento
ad es. ad un livello inferiore a quello che eventualmente potrebbe essere giunto
nel frattempo; oppure, al contrario, congelare la percezione di prestazioni/agevolazioni
ad un livello maggiore quando la situazione complessiva al massimo recuperata
- perché permanente non significa inemendabile, specie se il riferimento
è alla “situazione” e non alla patologia - prevederebbe una
riforma a livello inferiore.
Sicché pare ben opportuno che nell'applicazione del DM si ci limiti a
considerare le minorazioni elencate ai soli fini delle visite di controllo sulla
permanenza dello stato invalidante, tralasciando di occuparsi dell'handicap
che potrebbe solo marginalmente essere associato alle pratiche da disaminare.
In tal senso, se occasionalmente a certi nominativi - giunti all'osservazione
delle CMVP perché percettori di assegno di accompagnamento rientrante
nella casistica del DM 2 agosto 2007 - correla come
mera contestualità anche un provvedimento di handicap temporaneo - sia
prevista, cioè, una revisione - è appropriato che la singola Commissione
valutatrice constati se e in che misura sia il caso di segnalare l'opportunità
di trasformare in definitivo il provvedimento di handicap precedentemente dato
come pro tempore.
2. Chiarimenti sulla disabilità psichica ex art. 13 della legge
68/99.
Il quesito proposto fa riferimento all'accertamento delle condizioni di disabilità
che danno diritto ad accedere al sistema per l'inserimento lavorativo dei disabili
di cui alla legge 68/99 ponendo l'accento sulla
specifica previsione dell'art. 13 della medesima legge, così come modificato
dalla legge 247/2007 per i lavoratori disabili con handicap intellettivo e psichico.
“... Art. 13 - (Incentivi alle assunzioni). - 1. Nel rispetto delle
disposizioni del regolamento (CE) n. 2204/2002 della Commissione, del 5 dicembre
2002, e successive modifiche e integrazioni, relativo all'applicazione degli
articoli 87 e 88 del Trattato CE agli aiuti di Stato a favore dell'occupazione,
pubblicato nella Gazzetta Ufficiale delle Comunità europee n. L 337 del
13 dicembre 2002, le regioni e le province autonome possono concedere un contributo
all'assunzione, a valere sulle risorse del Fondo di cui al comma 4 e nei limiti
delle disponibilità ivi indicate: a) nella misura non superiore al 60
per cento del costo salariale, per ogni lavoratore disabile che, assunto attraverso
le convenzioni di cui all'articolo 11 con rapporto di lavoro a tempo indeterminato,
abbia una riduzione della capacità lavorativa superiore al 79 per cento
o minorazioni ascritte dalla prima alla terza categoria di cui alle tabelle
annesse al testo unico delle norme in materia di pensioni di guerra, approvato
con decreto del Presidente della Repubblica 23 dicembre 1978, n. 915, e successive
modificazioni, ovvero con handicap intellettivo e psichico, indipendentemente
dalle percentuali di invalidità ..."
Si tratta, quindi, di uno specifico ambito previsionale limitato all'applicabilità
o meno di un beneficio di cui parte datoriale fruirebbe nell'assumere categorie
di disabili particolarmente fragili: la materia, pertanto, è affrontata
dal Comitato Tecnico cui compete la decisionalità.
Tuttavia, il quesito posto è estremamente stimolante e se ne coglie la
circostanza per esprimere nel merito qualche considerazione.
In dottrina, sul piano definitorio, si intende per “disabilità”
(disability) "una qualsiasi limitazione o perdita, conseguente a menomazione,
della capacità di compiere un'attività nel modo o nell'ampiezza
considerati normali per un essere umano” e per “handicap”
quella “condizione di svantaggio, conseguente a una menomazione o a una
disabilità”.
È bene, però, precisare che, in tutto il copioso florilegio normativo
(leggi, regolamenti ... etc.) e applicativo (circolari), i termini disabilità/handicap
sono stati usati con molta interscambiabilità dall'Autorità di
turno, trovando disdicevole alcune volte parlare di “handicap” quasi
potesse scorgersi un velato intendimento non alla capacità complessiva
della persona, ma solo al suo minus.
Sicché, spesso in successivi interventi pur parlando di handicap ex lege
104/92, ci si è riferiti al soggetto portatore di handicap con il termine
disabile; per contro, nella legge 68/99 tipicamente orientata al disabile, si
è fatto riferimento all'handicap ancorché solo intellettivo e
psichico.
In tema di legge 68/99 invece, è bene evidenziare che l'accertamento
della disabilità è inteso non in senso del riscontro della “mancanza”,
ma come individuazione della capacità globale per il collocamento lavorativo
della persona in valutazione.
Ne discende che non è peregrino porsi il problema di ciò che deve
realmente intendersi, sul piano ermeneutico, con detta la locuzione - handicap
intellettivo e psichico, indipendentemente dalle percentuali di invalidità
- in parola.
Infatti, ad un prima lettura il termine “handicap” ivi adottato,
parrebbe far riferimento non alla condizione di svantaggio sociale valutata
secondo la legge 104/92 bensì a quella di disabilità tipica di
quella legge: quindi, con “finalità” di "promozione
dell'inserimento e della integrazione lavorativa delle persone disabili nel
mondo del lavoro".
Dato questo primo assunto per vero, bisogna, poi, porsi il problema se il legislatore
volesse intendere quella “e” come congiunzione fra due qualificazioni,
entrambe da soddisfare contestualmente; oppure, fosse solo un modo più
discorsivo per contemplare due situazioni che potessero sussistere anche in
alternativa, ma con ugual efficacia ai fini applicativi della norma.
Prima di entrare nel merito della disabilità intellettiva e psichica
appare utile annettere un contenuto definitorio ai concetti di intelletto e
psiche (cfr. De Mauro Il Dizionario della lingua italiana ed. Paravia) :
Intelletto è la capacità di intendere, di apprendere, memorizzare,
ragionare, prevedere e giudicare;
Psiche è l'insieme dei processi e delle funzioni della mente, sensoriali,
affettive, volitive ecc., che non fanno parte dalla dimensione corporea e materiale
dell'uomo, mediante cui l'individuo ha esperienza di sé e della realtà.
Trascendendo da discettazioni di carattere filosofico, senz'altro in nessun
caso esaustive, ed avuto unicamente riguardo alle ricadute operative concrete
del contenuto definitorio:
- può dirsi intelletto, ciò che attiene alla funzione cognitiva,
in rapporto anche al livello culturale e di intelligenza, e all'attentività:
si saggia con scale che misurano il quoziente verbale, di prestazione anche
motoria, di intelligenza.
- può dirsi psiche ciò che attiene a più ampia categoria dove molte capacità si interrelano, sostenute, sul piano neurobiologico, dalle molteplicità di interpolazioni fra aree cerebrali deputate a singole specializzazioni, in grado di influire anche sugli aspetti comportamentali, di temperamento e umorali della persona.
Pur percependone il distinguo, il confine fra l'un ambito e l'altro è,
di fatto, sfumato, potendosi ben avere situazioni fra loro fortemente interrelate,
per cui ad es. un'alterazione originariamente psichica si pone alla base di
un susseguente deficit anche intellettivo.
Tuttavia, uno sviluppo psichico inadeguato o un cervello organicamente alterato
possono determinare in primis un anomalo funzionamento dell'intelletto e, di
conseguenza, una disabilità intellettiva: che, quindi, non è sempre
conseguente ad un deficit psichico.
Tali richiamate situazioni non rientrano in una sola, precisa e specifica corrispondenza
nosografica della psicopatologia clinica.
Allo stato attuale, il testo cui la comunità scientifica fa riferimento
è il DSM, metodo classificatorio - prodotto, nella sua IV revisione (1994),
dal confronto di oltre 1000 esperti - basato sostanzialmente sulla mera descrizione
epifenomenica dei disturbi mentali, senza voler dare loro alcuna spiegazione
etiologica.
Oggi, in uso è la versione TR ossia - in attesa del DSM-V - il DSM IV
Revisionato nel Testo, a seguito di aggiornamento per il notevole quantitativo
di ricerche pubblicate ogni anno.
Nello specifico, la disabilità psichica appare riferibile a quelle condizioni
morbose codificate sull'Asse I e II (Disturbi di personalità) del DSM
IV-TR, mentre la disabilità intellettiva appare riferibile al concetto
di ritardo mentale codificato sull'Asse II del DSM IV-TR “Ritardo mentale”
ed alle diverse forme di demenza o deterioramento mentale da disturbi psicotici.
Nel ritardo mentale il funzionamento intellettivo - definito dal quoziente di
intelligenza (QI) ottenuto tramite la valutazione con uno o più test
di intelligenza standardizzati somministrati individualmente - è significativamente
inferiore alla media, con concomitanti deficit o compromissioni nel funzionamento
adattivo attuale (cioè le capacità del soggetto ad adeguarsi agli
standard propri della sua età e del suo ambiente culturale) in almeno
due delle seguenti aree:
- comunicazione;
- cura della propria persona;
- vita in famiglia;
- capacità sociali-interpersonali;
- uso delle risorse della comunità;
- autodeterminazione;
- capacità di funzionamento scolastico;
- lavoro;
- tempo libero;
- salute e sicurezza.
Il ritardo mentale ha esordio prima dei 18 anni di età e può essere dovuto a varie cause che variamente intervengono in età prenatale, perinatale o postnatale: disturbi metabolici, disturbi genetici, malformazioni cerebrali, lesioni cerebrali.
In base alla gravità il ritardo mentale può essere distinto (DSM
IV) in quattro gradi + 1:
- Ritardo Mentale Lieve: quoziente intellettivo da 50-55 a circa 70
- Ritardo Mentale Moderato: quoziente intellettivo da 35-40 a 50-55
- Ritardo Mentale Grave: quoziente intellettivo da 20-25 a 35-40
- Ritardo Mentale Gravissimo: quoziente intellettivo sotto 20 o 25
- Ritardo Mentale a Gravità Non Specificata che, invece, può essere
usato quando c'è motivo di supporre un ritardo mentale senza che l'intelligenza
del soggetto sia valutabile con i test standard.
La disabilità intellettiva che insorge in un quadro sindromico di tipo psicotico, invece, può presentarsi con una incapacità delle funzioni astrattive, con disturbi dell'attenzione e della concentrazione, con compromissione della memoria attuale, delle capacità di giudizio e di analisi critica della realtà: tale sintomatologia si sintonizza con il corteo sintomatologico della specifica diagnosticata condizione psicopatologica e presenta una possibile emendabilità se trattata con adeguata terapia.
Infine, la disabilità intellettiva che insorge nell'involuzione di tipo
demenziale (Alzheimer, Demenza Senile, Demenza Alcolica, ecc.) è caratterizzata
da una sintomatologia ingravescente riconducibile ad una compromissione delle
capacità logico-cognitive, di calcolo, delle facoltà mnesiche
attuali, recenti e remote, disorientamento spazio-temporale.
Sotto altro profilo, il conforto a questa impostazione concettuale perviene
anche da alcuni studi promossi sul territorio: ad esempio, nelle Marche, le
Unità Multidisciplinari per l'Età Evolutiva (fascia 0-18 anni)
e per l'Età Adulta (> 18 anni) rispettivamente in sigla UMEE ed UMEA
hanno aggregato nella tipologia della disabilità psichica il disagio
intellettivo, l'autismo, i disturbi dell'apprendimento.
Di talché, in relazione al quesito posto - se cioè il riconoscimento
ai sensi dell'art. 13 della legge 68/99 debba essere fatto sia per i lavoratori
con handicap intellettivo che psichico - appare più appropriata l'interpretazione
secondo la quale la disabilità intellettiva e psichica debbano essere
considerate in modo disgiunto, nei singoli casi potendo l'una prevalere sull'altra
financo in via esclusiva.
Infatti, è convincimento dello scrivente SMS che la norma di maggior
tutela intenda dispiegare i suoi effetti sia in presenza di una turba psichica
sia in caso di ritardo mentale: si rileva, peraltro, come la stessa legge non
operi sempre la distinzione tra handicap intellettivo e psichico (art. 9 c.
4).
Inoltre, il DPCM 13 gennaio 2000 specifica che l'accertamento
delle condizioni di disabilità va effettuata formulando la diagnosi funzionale
della persona disabile, intendendosi per tale la “descrizione analitica
della compromissione funzionale dello stato psico-fisico e sensoriale”,
non operando alcuna distinzione tra handicap psichico e handicap intellettivo.
Quindi, come indicazione finale, si deve ritenere che l'handicap intellettivo
e psichico non devono necessariamente coesistere ma è sufficiente che
sia presente l'uno o l'altro per le finalità di cui all'art. 13 della
legge 68/99.
Quanto, invece, al secondo quesito - se tutti i tipi di handicap intellettivi
e/o psichici, indipendentemente dalla gravità, debbano essere considerati
ai fini valutativi ai sensi della legge 68/99 - si ritiene che la locuzione
“indipendentemente dalle percentuali di invalidità ...” non
significhi che assume rilevanza anche una disabilità banale.
Nel ricordare che la legge 68/99 si applica a soggetti con una riduzione della
capacità lavorativa superiore al 45%, l'indipendenza dal procento si
intende operativa, ai fini dell'applicabilità dell'art. 13, a partire
dal 46% (vedi art. 1 comma 1 p.to a)) : pertanto, debbano essere considerate,
ai fini valutativi, soltanto quelle minorazioni psichiche di una certa rilevanza
che siano, da sole, in grado di determinare detta riduzione di capacità
lavorativa.
In proposito, anche la Regione Lombardia, con delibera regionale n. 8/4786 del
30 maggio 2007, conferma l'applicazione delle "Linee guida, indicate
nella d.g.r. 2010/06, per l'erogazione di finanziamenti volti all'assunzione
e al mantenimento del posto di lavoro di persone con disabilità psichica
nelle cooperative sociali", ove disabile psichico viene considerata
la persona in età lavorativa affetta da minorazione psichica o portatrice
di handicap intellettivo la cui riduzione della capacità lavorativa sia
superiore al 45%.
Non appaiono, quindi, valorizzabili ai fini che ci occupano - e, quindi, relativi
all'applicazione dell'art. 13 - quei deficit intellettivi e/o psichici più
lievi che, se isolati, non possono rilevare in assoluto; mentre, in caso di
complesso plurimenomativo, dovranno confluire in una complessiva valutazione,
tenuto conto che in tal caso quest'ultima sarà percentualizzata e la
percentuale da raggiungere non potrà che essere superiore al 79%.